LA PRIMA ABDICAZIONE DEL PRINCIPE TRANSILVANO SIGISMONDO BáTHORY: UNA TESTIMONIANZA COEVA






Dragoş Ungureanu,

Istituto della Memoria Culturale cIMeC di Bucarest

(versiunea în limba română)

(Appendice)


Uno dei personaggi più controversi della storia dei Principati Romeni è certamente Sigismondo Báthory, più volte principe di Transilvania (maggio 1581-1597; 22 agosto 1598-marzo 1599; febbraio-agosto 1601, fino alla battaglia di Guruslău). Sigismondo divenne principe per la quarta volta nel 1602, e nello stesso anno, in seguito alla convenzione di Cluj del 29 giugno, consentì alla proposta avanzatagli dagli Asburgo sin dal 1597, cedendo definitivamente il principato all'imperatore Rodolfo II d'Asburgo in cambio dei ducati di Oppeln e Ratibor, oltre ad una rendita annua di 50.000 ducati.

Gli aspetti contraddittori che si riscontrano nella figura del principe transilvano si devono in verità ai modi assai diversi con i quali egli è stato ritratto, da un lato, dalla storiografia cattolica della prima metà del Seicento, soprattutto da quelle italiana e ungherese, e dall'altro dalla storiografia romena coeva; ma soprattutto hanno influito i punti di vista assai disparati dei suoi contemporanei: Sigismondo è stato ritratto, come un principe abile, dai suoi fidati collaboratori e dalla maggioranza dei membri della Dieta transilvana [1] ; è stato ritenuto un personaggio incostante, mutevole e sventato dalla corte imperiale di Praga, da Michele il Bravo e dal suo entourage [2] ; infine pesa su Sigismondo la fama di accanito persecutore dei Seklers (i Siculi della Transilvania). Tale contraddittorietà, per giunta, è accresciuta dal fatto inconsueto che egli abdicò per tre volte, ogni volta destando perplessità che contribuirono a delineare il ritratto di un monarca certamente privo di successi in campo politico-militare, eppure non incline a scegliere la via dell'esilio, abbandonando il trono del principato. E ciò risalta ancor più se si considera il fatto che la politica estera di Sigismondo, in seguito alla sua adesione alla Lega Santa e almeno fino al ritorno da Ratibor, fu per un lungo periodo pienamente concorde con quella degli Asburgo, atteggiamento testimoniato non solo dalle fonti del tempo, ma anche dal documento analizzato nel presente articolo.

La prima abdicazione del principe costituisce l'argomento dell'avviso pubblicato a Roma, nel 1598, da un certo Domenico Amici [3] . Non conosciamo molte notizie sull'autore, che era originario di Ancona e che scrisse anche un'operetta in ottava rima sul pontefice Clemente VIII [4] . L'avviso risulta proveniente da Alba Iulia ed è datato 6 aprile 1598. Riguarda, perciò, avvenimenti accaduti in Transilvania a circa un anno di distanza dalla visita di Sigismondo Báthory a Praga, presso la corte dell'imperatore Rodolfo II d'Asburgo, occasione in cui Sigismondo acconsentì a cedere il principato alla Casa di Austria. Non risultano dal nostro avviso le ragioni di questa prima, inaspettata rinuncia al trono del principe transilvano; e del resto non vi è chiarezza su questo aspetto neppure in altre fonti coeve. Una di queste ragioni potrebbe essere la sconfitta che gli Ottomani inflissero all'esercito congiunto, asburgico e transilvano, a Mezökeresztes il 26 ottobre 1596. A questa campagna militare, Sigismondo Báthory partecipò insieme con l'arciduca Massimiliano d'Asburgo, ma le perdite subìte dall'esercito alleato cristiano furono all'epoca addebitate all'incompetenza e all'avventatezza del principe transilvano, che avrebbe favorito le manovre del nemico [5] . È molto probabile che la sconfitta dell'esercito cristiano causasse le rimostranze degli Asburgo, ma la diminuzione del prestigio del principe transilvano non può essere ritenuta un valido motivo per la sua abdicazione, poiché la sconfitta di Mezökeresztes non cambiò comunque le sorti della lunga guerra. Inoltre la vittoria non indusse gli Ottomani ad intensificare le loro azioni fino al punto di intraprendere una campagna militare in Transilvania, come quella subita dalla Valacchia nell'agosto 1595; e parimenti la Lega Santa non ritenne di intraprendere, nell'immediato, una controffensiva che fosse finalizzata a limitare il recente successo del nemico. La Porta stessa assunse un atteggiamento conciliante nei confronti della Transilvania e propose un'intesa a Sigismondo, come risulta dalla lettera che Hassan pascià spedì da Belgrado, al principe transilvano, il 7 gennaio 1597. Questa lettera esortava Sigismondo a concludere la pace con la Porta, mentre il sultano si dichiarava propenso a riconoscere il Báthory come principe di Transilvania: "Ai tempi in cui mi trovavo a Razgrad, Sua Eccellenza mi scrisse all'insaputa di Michele il Bravo, che Sua Eccellenza non volle sbagliare nei confronti del potente imperatore [il sultano ottomano, n. n.] e che a questa l'avrebbe spinta l'atteggiamento di Sinan pascià. Dopo la morte di costui, con la fedeltà e la deferenza che Lei dimostrò verso la Sublime Porta, inchinando la testa anche d'ora in poi davanti al prepotente imperatore, Lei abbia la stesa fede in lui e sia il nemico dei suoi nemici e amico dei suoi" [6] . La lettera di Hassan pascià si conclude con una aperta minaccia: qualora Sigismondo dovesse rigettare la richiesta del dignitario ottomano, la Transilvania ne pagherebbe le conseguenze subendo una spedizione punitiva da parte della Porta. Di fronte alla riluttanza del principe transilvano, gli Ottomani inviarono un esercito ad assediare Oradea, ma poiché, contemporaneamente, la Porta stava subendo gravi perdite nell'area a sud del Danubio, a causa della campagna militare ivi intrapresa da Michele il Bravo, gli assedianti furono obbligati a ritirarsi frettolosamente [7] .

Per quanto riguarda la politica interna, le difficoltà incontrate nei rapporti con la nobiltà transilvana riunita nella Dieta generale, e soprattutto con Sassoni e Seklers (Siculi), non misero in pericolo la posizione di Sigismondo ai vertici del potere politico, anche dopo la sconfitta di Mezökeresztes. La successione di Sigismondo Báthory al principato era avvenuta con l'assenso dell'intera nobiltà transilvana, e infatti, all'epoca del suo avvento al trono, non si erano registrate contestazioni di rilievo. D'altronde, l'investitura al principato del nipote di Stefano Báthory, l'allora re di Polonia, fu confermata dalla Porta. Non vi era, dunque, alcun serio pretendente in grado di ambire al trono di Sigismondo, ma ad essere contestate furono essenzialmente le scelte del principe in politica estera, ossia la sua decisione di schierarsi con una delle grandi potenze che si affrontavano nella lunga guerra. La contestazione della politica estera di Sigismondo Báthory, e di conseguenza della sua autorità, fu portata avanti da alcuni esponenti della nobiltà feudale vicina agli Ottomani, nelle cui fila si trovavano anche tre cugini del principe: i fratelli Baldassare, Stefano e Andrea Báthory. Ma questa fronda fu rapidamente domata con provvedimenti severi. La condanna a morte dei congiurati e la conseguente esecuzione di alcuni di loro, compreso Baldassare, mentre Stefano e Andrea riuscirono a malapena a rifugiarsi all'estero, scoraggiarono qualsiasi altro tentativo di un colpo di mano contro il principe [8] .

Andrea Báthory, dopo aver intrapreso la carriera ecclesiastica nel clero cattolico fino a raggiungere la dignità di cardinale, ritornò in Transilvania solamente quando Sigismondo Báthory lo richiamò con insistenza, offrendo al cugino salde garanzie di impunità. Tuttavia, una volta rientrato in Transilvania, Andrea continuò a temere per la sua vita, attendendo in trepidazione il momento in cui sarebbe stato arrestato. È da sottolineare, poi, il fatto che Sigismondo, ogniqualvolta cambiò idea dopo aver abdicato, non incontrò mai l'opposizione della nobiltà e degli Stati del principato, i quali tornarono sempre a riconoscerlo come principe di Transilvania e non si preoccuparono troppo delle conseguenze che quella decisione avrebbe avuto in politica estera.

Una spiegazione convincente in merito alla prima abdicazione di Sigismondo Báthory si deve a Nicolae Bălcescu, il quale, riferendosi alla visita di Michele il Bravo ad Alba Iulia (dicembre 1596-gennaio 1597), scrive: "Il principe rese noto a Michele che il suo cuore era molto amareggiato e che l'autorità del Papa e le promesse fatte all'Imperatore gli legavano le mani, non permettendogli di prendersi la soddisfazione e la vendetta che spettava ai Polacchi; disse che la Polonia non era decisa soltanto a tenere sotto la sua protezione la Moldavia, ma che voleva estenderla anche sulla Valacchia; che l'Imperatore non gli dava l'aiuto promesso, in denaro e in uomini, e che così egli si trovava sul punto o di rovinarsi del tutto, o di fare pace con i Turchi; concludeva dicendo che, in una tale posizione, era stanco delle tante preoccupazioni del potere e che quindi aveva deciso di abdicare, lasciando il suo paese sotto il dominio dell'Austria, dopo il trattato firmato con questa potenza nel gennaio del 1595" [9] . Le parole del principe transilvano trovavano certamente riscontro, allora, nella situazione geopolitica del Sud-Est europeo, poiché la Polonia ambiva al controllo dell'intera area extracarpatica, cioè dei principati di Moldavia e Valacchia, in contrasto con la politica antiottomana di Michele il Bravo, mentre gli Asburgo non avevano onorato del tutto la promessa di sostenere gli alleati impegnati nella guerra contro la Porta [10] .

L'opera di W. S. Teutschländer hanno più volte affrontato la questione dei tratti propri del carattere di Sigismondo Báthory, sottolineando la debolezza dimostrata dal principe nell'affrontare alcuni problemi politici. Da un lato, l'autore tedesco menziona lo scarso appoggio offerto al principe transilvano dall'imperatore Rodolfo II d'Asburgo, ma dall'altro mette in evidenza il continuo timore in Sigismondo di essere sconfitto prima o poi dagli Ottomani. Non si spiegano, dunque, gli elogi di Cesare Campana [11] e di Giorgio Tomasi nei confronti del principe transilvano, così come i giudizi espressi nell'avviso pubblicato da Domenico Amici. Riteniamo che la spiegazione più adatta, tenendo di conto della personalità di Sigismondo, sia stata data da Teutschländer: "La chiave per comprendere il suo modo di agire potrebbe trovarsi piuttosto nella sua debolezza mentale e nella sua mancanza di carattere. Da questo punto di vista, Sigismondo era il misero risultato, il brutto esempio del metodo pedagogico dei Gesuiti; pieno di conoscenze, non privo di qualità, alla sua indole mancava completamente l'equilibrio interiore. Come nella vita pubblica, anche in quella privata era esitante e capriccioso; a ciò probabilmente contribuì, in misura non minore, la cerchia dei suoi familiari. La moglie, educata dai Gesuiti, ma anche in seguito del tutto sottoposta alla loro influenza, aveva un detto: «Secondo il volere di Dio», inoltre non voleva avere bambini con Sigismondo, ed anzi, intendeva convincerlo a rinunziare al regno, schierandosi dalla parte del clero. I rapporti con la moglie sarebbero stati talmente ripugnanti per Sigismondo che, in presenza di lei, era preso da dolori, oppure, trovandosi da lei separato, sentiva la sua mancanza o fingeva di sentirla. Questo si sarebbe dovuto imputare alla sua impotenza" [12] . Un giudizio estremamente duro, spiegabile con l'avversione dell'autore per il Cattolicesimo, la Controriforma e la Compagnia di Gesù, ma molto difficile da confutare con argomentazioni convincenti. Il fallimento del matrimonio di Sigismondo Báthory e Maria Christierna, figlia dell'arciduca Carlo di Stiria, fu il risultato, prevedibile, di una unione voluta dal principe transilvano per imparentarsi con la dinastia imperiale degli Asburgo, al fine di realizzare i suoi piani politico-militari, come si evince dall Battorea di Giorgio Tomasi, opera realizzata senza dubbio su committenza di Sigismondo stesso [13] . Il principe transilvano, probabilmente istigato dai confessori gesuiti, si immaginava al comando supremo degli eserciti cristiani per la liberazione di Costantinopoli e la cacciata dei nemici di Cristo dall'Europa e dalla Palestina, come a Mezökeresztes, dove aveva provocato l'ira di Massimiliano d'Asburgo. D'altronde, la corte imperiale di Praga valutava ovviamente tutte le possibilità di allargare i confini del Sacrum Imperium Romanum Nationis Teutonicae, con la benedizione e la piena collaborazione della S. Sede, quindi pensava all'annessione della Transilvania sulla base del motto: Bella gerunt alii, tu felix Austria nubes, giacché Sigismondo Báthory era ritenuto facilmente manovrabile [14] . Le pressioni alle quali fu sottoposto il principe transilvano dai Gesuiti e dalla moglie, prima di tutto principessa dell'Impero, rispondevano alle disposizioni impartite da chi elaborava la politica estera degli Asburgo, oltre le porte del castello di Hradčany a Praga. Quindi, dopo la rinuncia al trono del 1595 (in seguito al trattato firmato durante l'inverno con la Casa d'Austria), l'improvvisa decisione di Sigismondo di abdicare nuovamente, nel 1597, in favore dei dignitari transilvani: Gáspár Kórnis, Stefano Bocskay e Stefano Jósika, passò come un atto col quale il principe affidava ufficialmente il potere politico nelle mani di quei nobili che, comunque, controllavano già le sue decisioni. Lo storico tedesco Bisselius, che dimostra di essere ben informato circa gli avvenimenti cui fa riferimento, indica fra le ragioni dell'abdicazione di Sigismondo Báthory la seguente: "perché non può più sperare di avere eredi dalla moglie Cristina" [15] , cosa che non dispiaceva certo agli Asburgo, i quali, in questo modo, avevano il pretesto per l'annessione della Transilvania.

Il carattere debole di Sigismondo Báthory, facilmente suggestionabile dalla cerchia dei suoi collaboratori, incapace di imporre il suo punto di vista, diviene evidente al tempo della prima abdicazione. Domenico Amici menziona l'arresto del cancelliere Stefano Jósika, allora uno dei più abili politici della Transilvania, che fu prelevato di notte dal suo letto. Che cosa era successo veramente? Come abbiamo accennato, dopo la decisione di abdicare a favore della Casa d'Austria, Sigismondo Báthory cambiò improvvisamente idea, quasi certamente spinto da alcuni dei suoi più fedeli collaboratori, in un momento in cui, probabilmente, i confessori gesuiti e la moglie non si trovavano presso la corte. Egli pertanto, in colloqui privati, promise a tre dei suoi principali collaboratori: Gáspár Kórnis, Stefano Bocskay e Stefano Jósika, di sostenere nella Dieta la loro elezione al principato. L'obiettivo di Sigismondo, nel momento in cui promise il trono ai tre dignitari, era quello di poterli controllare, sottraendosi a sua volta al loro controllo e provocando dissensi tra di loro. A Gáspár Kórnis diceva: "Ecco la mia volontà: quando uscirò dalla Transilvania, tu non lasciare il principato a nessun altro, ma prendilo per te; è per questo che ti ho nominato a capo degli eserciti del paese"; un altro giorno, allo zio Stefano Bocskay disse: "Ti consiglio, se ambisci al principato di Transilvania, di non lasciartelo sottrarre da quel romeno [Stefano Jósika]". Infine, fu proprio il romeno Jósika ad essere scelto da Sigismondo come suo successore, quindi il principe transilvano mandò anche un messaggero a Costantinopoli, per ottenere la ratifica della sua decisione [16] . Jósika, desideroso di salire al più presto sul trono, si dimostrò incauto e scrisse di propria iniziativa all'arciduca Massimiliano d'Asburgo, per avvisarlo che la sua presenza o quella di un commissario imperiale in Transilvania non erano gradite alla nobiltà locale e alla Dieta transilvana. Aggiungeva che Sigismondo Báthory non era ancora deciso a consegnare il principato nelle mani della Casa d'Austria, giudizio perfettamente rispondente alla realtà, che non presupponeva alcun tradimento da parte del cancelliere [17] . Di fronte a questa iniziativa, e non dimentichiamoci che la lettera era spedita dalla seconda carica politica della Transilvania, la corte imperiale di Praga prese immediatamente i provvedimenti necessari a contrastare i disegni del principe transilvano. Quindi inviò tempestivamente ad Alba Iulia tre commissari: il vescovo di Waitzen, Stefano Szuhay, e i consiglieri imperiali Nicolò Istvánffy e Bartolomeo Pezzen, con la missione di convincere Sigismondo Báthory a mantenere i suoi impegni e a consegnare il trono agli Asburgo. Comunque, si preparò a partire per la Transilvania lo stesso arciduca Massimiliano. I tre inviati dell'imperatore trovarono Sigismondo Báthory ad Alba Iulia, proprio nel momento in cui, nella capitale del principato, si era riunita la Dieta transilvana. Di fronte alla lettera inviata da Jósika a Massimiliano d'Asburgo, Sigismondo Báthory dimostrò la debolezza del suo carattere, diffidando il cancelliere e dichiarandosi estraneo a quella iniziativa. Ribadì la decisione di rinunciare al trono in favore dell'imperatore e ordinò l'arresto immediato di Jósika [18] , una chiara minaccia nei confronti di chi non ubbidiva alla volontà del principe e si rifiutava di prestare giuramento di fedeltà a Rodolfo II d'Asburgo [19] .

L'improvviso arresto di Stefano Jósika, prelevato "nelle sue proprie stanze", da un lato dimostra che il cancelliere non si aspettava di certo un simile provvedimento, perpetrato ai danni della seconda carica del principato, e dall'altro prova che il piano fu architettato segretamente per cogliere di sorpresa l'intera corte e la nobiltà avversa a Sigismondo. Lo storico Bălcescu afferma che Jósika avrebbe avuto dei sospetti già al momento in cui venne a conoscenza dell'arrivo inatteso dei commissari imperiali: "dai quali niente di buono si poteva aspettare" [20] , altrimenti non si spiegherebbe l'improvviso tentativo del cancelliere di allontanarsi a cavallo, dalla città di Alba Iulia, in compagnia di alcuni servitori. Egli, in un primo momento, pensò bene di fuggire, giacché prevedeva l'atteggiamento di Sigismondo, improntato a debolezza, di fronte agli ambasciatori degli Asburgo. Poi, probabilmente quand'era già alle porte della capitale transilvana, trovandosi privo di informazioni precise circa la missione degli inviati imperiali, ritenne di non doversi preoccupare di costoro, ma di avere ancora margine per indurre Sigismondo a rigettare le richieste dell'imperatore e a conservare l'indipendenza della Transilvania. Dopo il rientro del cancelliere nella città di Alba Iulia, seguirono le vicende ricordate anche nell'avviso pubblicato da Domenico Amici: l'arresto di Stefano Jósika, accusato di alto tradimento per il supposto accordo con gli Ottomani [21] , la fiducia negata da Sigismondo Báthory al suo principale collaboratore, quindi la prigionia e l'esecuzione del dignitario, che avvenne dopo un periodo di detenzione e che non viene menzionata nel suddetto avviso [22] . L'arresto di Stefano Jósika fu voluto da Sigismondo Báthory per riaffermare in modo chiaro la sua autorità, ma la decisione del principe si deve in effetti all'intervento dei commissari imperiali. Questi, approfittando del carattere debole del principe transilvano, ottennero l'eliminazione del cancelliere, senza rendersi conto che si trattava soltanto di un capro espiatorio, sacrificato per rimediare all'indecisione del principe. All'arresto del cancelliere seguì il discorso di Sigismondo, di pregevole fattura, anche se l'avviso pubblicato da Domenico Amici lo ricorda solo di sfuggita. Questo discorso, per quanto tenuto in presenza di un nutrito gruppo di militari che poteva sopraffare qualsiasi argomento e talento oratorio, riuscì a convincere la Dieta transilvana a prestare giuramento di fedeltà all'imperatore. Rodolfo II d'Asburgo replicò facendo giurare i commissari imperiali e riconfermando agli Stati i privilegi e le libertà garantite dagli statuti vigenti. Sigismondo Báthory offrì cospicui regali: vestiti, cavalli e gioielli, per convincere i dignitari e la nobiltà a collaborare nell'esecuzione degli accordi presi con gli Asburgo. Ma tutto questo trova luogo, in modo per noi irrilevante, nell'avviso di Domenico Amici che abbiamo citato.






1. Si veda Giorgio Tomasi, La Battorea, Conegliano 1609: “Il Serenissimo Prencipe di Transilvania, Sigismondo Battori, delli cui egregij passi specialmente ho impreso di scrivere compendiosa & succinta historia è illustre non solo per le guerre havute da lui con turchi & per le vittorie di loro gloriosamente riportate ma anco per le nobiltà del sangue & antichità de la famiglia che per vetustissimi annali volevano da Batto Imperador de’ Tartari che già quattrocento e più anni scorse con potentissimo esercito la Polonia & l’Ungaria ma da Re dell’istesso nome che con altri di corona fu con Attila alle imprese da lui fatte; due della cui stirpe di Batto, d’Idolatri divenuti fideli di Christo si fermarono nel Regno d’Ungaria, dominando gran spatio della regione terminate dai fiumi Danubio e Tibisco ove li Battori possedono tuttavia molti luoghi de’ loro Antecessori & fra questi la terra del proprio cognome Battor […]”. Il lavoro dello storico Giorgio Tomasi, protonotario della Cancelleria pontificia, contemporaneo di Sigismondo Báthory e suo fedele collaboratore, rivela un chiaro intento celebrativo nell’esaltare le gesta del principe, alcune addirittura inventate, oppure da attribuire ai principi di Valacchia e Moldavia, come dimostra la risposta dell’arciduca Massimiliano d’Asburgo all’inviato di Michele il Bravo. Cfr. Mihai Viteazul în conştiinţa europeană, vol I, Documente externe, a cura di Ion Ardeleanu, Mircea Muşat, Vasile Arimia, Gheorghe Bondoc, Bucarest 1982, pp. 211-212. Inoltre, nel libro del Tomasi, si riscontrano esagerazioni concernenti la genealogia della famiglia Báthory, il cui nome è fatto risalire a quello di Batu Khan, prima condottiero dei Mongoli che invasero l’Ungheria, nel 1241, e poi Khan dell’Orda d’Oro. Leggendo con attenzione il libro del Tomasi, notiamo che l’autore, quand’è obbligato dall’argomento a commentare le decisioni dell’imperatore Rodolfo II, pur continuando ad usare parole elogiative nei confronti di Sigismondo, adotta nel contempo un atteggiamento palesemente diplomatico. Le sue considerazioni, infatti, vengono svolte in modo da non offendere nessuna delle parti coinvolte, anche se l’imperatore obbligò Sigismondo a lasciare la Transilvania, e quindi sostenne Michele il Bravo nel 1601, anno della vittoria a Guruslău delle forze congiunte valacche e imperiali sull’esercito transilvano. D’altronde, alcuni passi tratti dal libro del Tomasi muovono al sorriso allorquando descrivono l’ultima abdicazione di Sigismondo Báthory e il suo ritiro nella residenza tedesca: “In questo luogo [il castello di Libocowitz, situato ad un giorno di cammino da Praga, n. n.] tiene il Prencipe dall’anno mille seicento due, ch’egli venne di Transilvania, la sua residenza, non havendo altre comodità, che quelle ponno portare la giurisditione. Il palagio nondimeno, che è molto qualificato posa alla ripa sinistra dell’Egra fiume placidissimo pescoso & atto alla navigatione, se non la interrompessero gli edifici di molini, che sono frequenti, il quale dopo haver corso per lungo tratto viene ad unirsi con l’Albis, che di Bohemia va bagnando la Sassonia sin che sbocca nel Mare Germanico. La fabbrica di esso Palagio è di maestrevole & dotta Architettura, che si conosce non solo nella dispositione esteriore della machina, & in due altissimi Pontoni, & torri, che scuoprono per gran spatio di lontano, ma anco nell’ordine interno dove lasciato per Piazza un perfetto & gran quadro sostenuto da archi sotterranei ridotti a più di famigliari, sorgono quattro superbe fasciate piena ogn’una di loro di nobilissime & ricche stanze, parte de quali & in spetie un amplissimo salone, godono vedetta de’ fiumi di selve dilettevoli ove sono rinchiusi cervi, che si prendono ad ogni piacere di S. A. & di altri luoghi amenissimi”. Si comprende l’intento consolatorio nei confronti di Sigismondo, che fu certamente il raisonneur del libro del Tomasi, intento in un certo qual modo patetico che, però, non può porre rimedio all’indegnità della nuova abitazione che l’Imperatore concesse in Silesia al Báthory. Ricordiamo la celebre battuta dell’imperatrice di Bisanzio, Theodora, quando, in occasione delle rivolte di Nika, consigliò a Giustiniano di non abdicare: “il manto imperiale è il più caro velo”. Si può dire che il Tomasi, prima di essere un fedele collaboratore di Sigismondo Báthory, fu ancor più fedele alla Chiesa cattolica e al Pontefice romano.
2. Cfr. Johann Christian von Engel, Geschichte des Ungarischen Reichs und Seiner Nebenländer, in Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol. III, Bucarest 1984, p. 54 e p. 66; Karl Neugeboren, Handbuch der Geschichte Siebenbürgens cit., in Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol. III, pp. 117-119; Willibald Stephan Teutschländer, Michael der Tapfere. Ein zeit und Charakterbild aus der Geschichte Rumäniens, in Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol. III, p. 363, p. 365, p. 370 e pp. 375-376. In occasione della prima abdicazione di Sigismondo, Michael Weiss, senatore di Braşov, attribuiva al messaggero di Massimiliano d’Asburgo i seguenti versi beffardi: “Oggi è il 4 aprile / Il pazzo è mandato dovunque voglia”. Il consigliere imperiale Stefano Illésházy espresse un altro giudizio su Sigismondo Báthory: “Egli parte in esilio, così come Caino, a causa del sangue innocente che ha versato”; a Praga, il principe transilvano “era considerato solo un buffone, ma un buffone sospetto che doveva essere tenuto d’occhio”. Si veda anche Constantin C. Giurescu, Dinu C. Giurescu, Istoria românilor, din cele mai vechi timpuri până în prezent, Bucarest 1975, p. 403 (il principe valacco Michele il Bravo ebbe a dire di Sigismondo: “non sa né che cosa fa, né che cosa vuole”).
3. Domenico Amici, Nuovo avviso della resolutione fatta per il Serenissimo Prencipe di Transilvania di restituire quella Provincia all’Impero Romano, in Roma, appresso Nicolò Mutio, 1598, in 16°, cc. 4 n. n. (a nostra conoscenza due esemplari dell’operetta sono conservati, a Roma, nelle Biblioteche Nazionale Centrale “Vittorio Emanuele II” e Vallicelliana).
4. Domenico Amici, Il bellissimo ordine, che si è tenuto nel portare il Santissimo Sacramento da Bologna nel viaggio di PP. Clemente VIII alla città di Ferrara, in Roma, per Nicolò Mutii, 1598, in 16°, cc. 4 n. n. (due esemplari sono conservati a Roma, nelle Biblioteche Angelica e Vaticana). Per l’autore si vedano: Giammaria Mazzucchelli, Gli scrittori d’Italia …, vol. I, parte II, Brescia 1753, p. 622, s. v. Amici (Domenico); Giuseppe Colucci, Francesco Lancellotti, Dizionario storico degli uomini illustri di Ancona, in Delle antichità picene dell’Abate Giuseppe Colucci, t. XXVII, Fermo 1786, pp. 1-103; Filippo Vecchietti, Tommaso Moro, Biblioteca Picena …, t. I, Osimo 1790, p. 105, s. v. Amici (Domenico); Luigi Ferrari, Onomasticon. Repertorio Biobibliografico degli scrittori italiani dal 1501 al 1850, Milano 1947, s. v. Amici (Domenico); Tullio Bulgarelli, Gli avvisi a stampa in Roma nel Cinquecento. Bibliografia. Antologia, Roma 1967, p. 112 num. 291, p. 119 num. 323.
5. K. Neugeboren, Handbuch der Geschichte Siebenbürgens cit., p. 117. Secondo la Cronaca di Radu Popescu le perdite dei cristiani aumentarono non “appena Massimiliano fuggì su un cavallo a Kosiče […]. Anche Batăr Jicmond [Sigismondo Báthory] fuggì e si rifugiò nella città di Tocai; e così anche Zrini che fuggì altrove: lasciarono tutto alle loro spalle in balìa dei Turchi che provocarono tanti morti tra i Cristiani, e il sultano Mehmet, catturati schiavi e un cospicuo bottino, tornò vittorioso a Tzarigrado [Costantinopoli]”, cfr. Radu Popescu, Istoriile domnilor Ţării Româneşti, edizione a cura di Constant Grecescu, Bucarest 1963, p. 77; la Cronaca settecentesca del sassone Johann Filstich conferma le asserzioni di Radu Popescu, cfr. Johann Filstich, Tentamen Historiae Vallachicae, in Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol. III, p. 382: “[…] Massimiliano e il Batori dovettero cercare la salvezza della loro vita, mentre fuggivano con pochi soldati”.
6. “Mikor én Ratzgradon valék, jrta vala Nagyságod ennékem Mihaly Waida hiréuel, hogy Nagyságod az hatalmas cziászar ellen nem igyekézet vétenj, hannem mind erre Szjnan Basza adot volna okot. Azerth jmar eömegh holt, es az minemo hioséggel és engedelmességgel az fényes portahoz voltatok, ez utan-is az hatalmas cziaszarnak feiet haituan, azon hiwseggel legyetek hoza, és az kik eö hatalmassaga ellenségj, azoknak ellenségj, es baratjnak baratj legyetek” (Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol. I, pp. 150-153). È interessante che Hassan pascià, comandante in capo degli eserciti ottomani di stanza in Ungheria, sostenga di avere ricevuto la lettera di Sigismondo Báthory: “ai tempi in cui mi trovavo a Razgrad”, permettendoci così di datare la missiva al febbraio 1596, dunque dopo la battaglia di Mezökeresztes. Nella sua lettera, Hassan, riferendosi ad un precedente scambio epistolare col principe transilvano, accenna ai tentativi di ottenere il perdono del sultano per la ribellione di Sigismondo. Ci domandiamo: questa lettera risponde ad una strategia politica messa in atto alla vigilia della campagna ottomana in Ungheria, per lasciare aperta la via ad eventuali trattative in caso di sconfitta, oppure è una prova palese dell’opportunismo di Sigismondo Báthory? Se consideriamo la posizione del destinatario e la sua influenza, ambedue le ipotesi divengono possibili, ma la seconda ci sembra la più probabile.
7. Il successo degli eserciti guidati da Michele il Bravo, nella campagna a sud del Danubio, risulta con chiarezza dai passi di una lettera che il principe valacco spedì, il 16 ottobre 1598, all’arciduca Massimiliano d’Asburgo, cfr. Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol. I, p. 216. Le truppe della Valacchia avanzarono in territorio ottomano fino a Sofia, dopo aver conquistato l’una dopo l’altra le città di Plevna, Vidino, Vratza, Filippopoli e Rahova, razziando e incendiando circa 2.000 villaggi, quindi ritornarono vittoriose al nord del fiume, in territorio romeno, seguite da oltre 10.000 rifugiati cristiani, bulgari e serbi, che portarono con loro anche i propri beni. La debole ritorsione degli Ottomani, che avviarono l’assedio di Oradea, dimostra che allora la Porta non era in grado di influenzare la politica estera dei Principati Romeni, e tanto meno quella del principe di Transilvania; si spiegano, così, le ragioni della disponibilità dimostrata da Hassan pascià nei confronti di Sigismondo.
8. Per l’arresto dei membri della fazione filottomana e per l’esecuzione pubblica di Baldassare Báthory, si veda: W. St. Teutschländer, Michael der Tapfere cit., in Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol. III, p. 340; l’episodio è narrato anche da G. Tomasi, La Battorea cit.: “Non giunse ad effetto il perfido consiglio perché la protetione qual teneva Dio di Sigismondo fece scoprire il trattato, il quale venuto ad orecchia di S. Altezza & stimarolo come recidivo degno di doppia punitione, ordinò segretissimamente ai Capi della sua guardia, che comparendo alla Corte i tali mettessero loro le mani addosso facendoli prigioni, il che per appunto & con avveduta diligenza fu esseguito & parte de’ prigioni si mandò subito ben custodita in fortezza ove furono poi fatti morire & parte senza perdita di tempo fu decapitata nella pubblica piazza di Claudiopoli, strangolandosi separatamente Baltasare Battori, cugino del prencipe & fratello del Cardinale, & di Stefano che si salvò fuggendo di Transilvania in Polonia, sendosigli per la complicità havuta dato esilio & confiscati tutti i beni”. Ai beni confiscati si riferisce anche K. Neugeboren, Handbuch der Geschichte Siebenbürgens cit., in Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol. III, p. 114. La pratica della confisca dei beni era molto frequente all’epoca; anche lo zio di Sigismondo, il re di Polonia Stefano Báthory, si comportò allo stesso modo con Iancu il Sassone, principe di Moldavia, che si era rifugiato in territorio polacco per sfuggire alla Porta: catturatolo, lo fece giustiziare e gli sequestrò la fortuna. Lo storico romeno Nicolae Bălcescu sostiene che Sigismondo beneficiò del sostegno della nobiltà ungherese, e del patriziato sassone e siculo, nel momento in cui dovette confrontarsi con l’opposizione capeggiata da Baldassare Báthory, vale a dire quando il principe lasciò Turda, dove si era riunita la Dieta generale, per riparare a Chioar, cfr. N. Bălcescu, Românii supt Mihai Voievod Viteazul, edizione a cura da Andrei Rusu, Bucarest 1960, p. 48.
9. Ibidem, p. 37. Il trattato ratificato a Praga il 28 gennaio 1595, tra l’imperatore Rodolfo II e Sigismondo Báthory, non consentiva a nessuno dei firmatari la conclusione della pace con la Porta, senza che la Moldavia e la Valacchia fossero incluse nell’accordo finale. Nello stesso trattato si prevedeva, oltre al sostegno reciproco nella guerra contro l’Impero Ottomano, anche l’annessione della Transilvania all’Austria nel caso in cui Sigismondo morisse senza eredi. Inoltre si concordava il matrimonio tra Sigismondo Báthory e Maria Christierna, figlia dell’arciduca Carlo di Stiria, cfr. W. St. Teutschländer, Michael der Tapfere cit., in Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol. III, p. 347.
10. Un caso simile fu quello del principe moldavo Stefano il Grande (1457-1504). Questi, nella lettera inviata ai monarchi occidentali subito dopo la vittoria di Vaslui, nell’inverno del 1475 (cfr. România. Documente străine despre români, raccolta di documenti a cura di Teodor Bucur, Tahsin Gemil, Ioana Burlacu e Manole Neagoe, Bucarest 1992, p. 58), prendeva in considerazione anche la possibilità di accordarsi con la Porta, qualora non avesse ricevuto alcun sostegno dalle potenze cristiane. Tuttavia Stefano il Grande, principe di uno Stato provvisto di risorse molto più scarse della Transilvania, non pensò mai all’abdicazione.
11. Cesare Campana, Compendio Historico delle guerre ultimamente successe tra christiani & Turchi & tra Turchi & Persiani, Venezia 1597.
12. W. St. Teutschländer, Michael der Tapfere cit., in Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol. III, pp. 363-364.
13. G. Tomasi, La Battorea cit.; coerenti col carattere encomiastico dell’opera, che contiene molteplici esagerazioni e altrettante inesattezze, sono le due poesie dedicate a Sigismondo Báthory, all’inizio e alla fine del libro, versi che presentano il principe transilvano addirittura come un novello Alessandro il Macedone. La poesia che chiude il libro, intitolata: “Canzone Al Serenissimo Prencipe di Transilvania Sigismondo Battori nel cominciamento delle sue Imprese”, è firmata da Marco Claseri Trentino. In essa si enumerano le gloriose vittorie del principe, la cui fama è giunta in Grecia e in Palestina (Sion). La prima poesia, nella prefazione, è leggermente più breve: “Tu pur valoroso SIGISMONDO, / La gran fama sepolta, anzi ch’estinta, / E la salda virtù cheta, non vinta, / Spirante, e forte anchor ritorni al mondo. // Qui lui vedrem contra il Tiranno immondo, / Onde il fiero giogo è l’Asia avinta, / Tonar ne l’armi, e l’empia turba spinta, / Scoter, e calpestar l’ingusto pondo. // E letti i suoi trionfi, e ovunque vada, / Senno, e pietà, non ben saprem qual merti, / Più lode, o la tua penna, o la tua spada. // Questa sparge di sangue i campi aperti, / Quella dà lume al sangue, e dove ei cada, / Di lui nel fosco suo sà chiari i meriti”. Il volume citato (La Battorea) si conserva nella Sezione Manoscritti della Biblioteca Nazionale Centrale “Vittorio Emanuele II” di Roma (coll. 6. 34. C. 10).
14. I primi tentativi da parte della Casa d’Austria di impadronirsi della Transilvania risalgono all’epoca della fondazione del principato, quando gli Asburgo cercarono di approfittare della mancanza di eredi di Giovanni Zápolya. Il trattato di Oradea, del 24 febbraio 1538, disponeva l’annessione dell’Ungheria e della Transilvania all’Impero dopo la morte dello Zápolya, all’epoca senza bambini ed in età abbastanza avanzata. Poco dopo la conclusione del trattato fra Transilvania e Asburgo, Giovanni Zápolya sposò Isabella, figlia del re di Polonia, Sigismondo I. La grande differenza di età tra i due coniugi: lo Zápolya superava i sessant’anni, Isabella era intorno ai venti, non impedì la nascita di un figlio: Giovanni Sigismondo, che fu riconosciuto come erede legittimo dello Zápolya dal sultano Süleyman Kanunî, a dispetto degli Asburgo.
15. W. St. Teutschländer, Michael der Tapfere cit., in Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol. III, p. 376.
16. K. Neugeboren, Handbuch der Geschichte Siebenbürgens, în Mihai Viteazul în conştiinţa europeană cit., vol III, p. 118; N. Bălcescu, op. cit., pp. 45-46. I tratti della personalità di Sigismondo Báthory emergono chiaramente dal comportamento adottato nei confronti dei suoi collaboratori: promette il trono a Stefano Jósika, manda un inviato alla Porta per la ratifica, quindi accusa il cancelliere di alto tradimento, per aver complottato con i Turchi, e dispone il suo arresto, condannandolo a morte mediante decapitazione. Bălcescu ricorda una battuta amara di Jósika, quand’egli salì sulla carrozza che lo avrebbe trasportato nella prigione di Satu Mare; rivolto a Eustazio Guylasi, disse: “Ecco il prezzo per l’amicizia dei principi!”. Gaspare Kórnis e Stefano Bocskay certamente accolsero con soddisfazione l’eliminazione di un concorrente al trono, che, da tempo, assecondava le iniziative politiche del principe. Per quanto riguarda il carattere esitante di Sigismondo Báthory, va ricordato anche l’episodio in cui alcuni dignitari, sentendosi minacciati dall’arresto di un membro di spicco della nobiltà transilvana, pregarono il principe di processare Jósika secondo la legge, dichiarandosi pronti a testimoniare l’innocenza dell’ex cancelliere. Sigismondo Báthory rispose “con amarezza”, dicendo che Jósika: “era allora nelle mani dei commissari imperiali, ai quali era affidata la guida del principato e la facoltà di sovrintendere alla giustizia” (Ibidem, p. 56).
17. Andrei Veress, Nunţii apostolici în Ardeal (1592-1600), in “Analele Academiei Române. Memoriile Secţiunii Istorice”, III serie, VIII, 1928, p. 40. Lo storico ungherese, basandosi sui documenti del tempo, sostiene che la lettera inviata da Stefano Jósika a Massimiliano d’Asburgo fu spedita su ordine di Sigismondo Báthory. Gaspare Kórnis, Stefano Jósika e Stefano Bocskay erano contrari al piano che, per il mantenimento della dinastia alla guida del principato transilvano, prevedeva la sostituzione di Sigismondo col nipote Gabriele Báthory (cfr. A. Veress, op. cit., p. 38). Ognuno dei tre, infatti, ambiva alla corona per conservare il potere nelle mani della nobiltà locale, a discapito dei commissari inviati dagli Asburgo alla guida della Transilvania. La nobiltà transilvana rimase coerente a questa linea politica anche in occasione dei successivi ritorni di Sigismondo sul trono del principato, ma così fu anche all’epoca del principato di Andrea Báthory e della ribellione antiasburgica seguita all’uccisione di Michele il Bravo, assassinato per ordine dello stesso generale imperiale Giorgio Basta. Poiché all’epoca, sullo scacchiere dell’Europa Centro–Orientale, il punto di vista degli Asburgo si affermava soltanto nelle regioni in cui le forze militari imperiali riuscivano ad intervenire direttamente, in Valacchia l’imperatore poteva contare soltanto sugli eserciti di Michele il Bravo e di Radu Şerban, principi che comunque tendevano a promuovere innanzitutto i propri interessi strategici.
18. L’episodio dell’arresto del cancelliere Stefano Jósika è narrato anche da Alfonso Carrillo, gesuita spagnolo presente in veste di diplomatico alla corte di Alba Iulia, ma le sue asserzioni sono sommarie e nettamente favorevoli a Sigismondo Báthory, cfr. Călători străini despre Ţările Române, vol. III, a cura di Maria Holban, Maria Matilda Alexandrescu–Dersca Bulgaru, Paul Cernovodeanu, Bucarest 1971, pp. 323-324.
19. Nicolae Bălcescu sottolinea il fatto che, dopo l’arresto del cancelliere, dominò “la paura emersa nel cuore di tutti”, giacché la nobiltà transilvana si riteneva seriamente minacciata dalle decisioni del principe. Il Bălcescu, citando uno storico ungherese che però non nomina, accenna anche all’arresto e all’esecuzione senza processo, di fronte alla corte, di un certo Toma, soldato valoroso che avrebbe denunciato “l’oppressione della libertà”, probabilmente come reazione all’arresto arbitrario di Stefano Jósika (cfr. N. Bălcescu, op. cit., pp. 53-54).
20. N. Bălcescu, op. cit., pp. 51-52.
21. Eudoxiu de Hurmuzaki, Documente privitoare la istoria românilor, vol. III/1, Bucarest 1880, p. 279; è assai interessante che il cancelliere Stefano Jósika fosse ritenuto colpevole anche da Michele il Bravo, il quale probabilmente, nel suo giudizio, si limitò alle informazioni avute da Sigismondo Báthory, cfr. Ibidem, vol. XII/1, Bucarest 1903, pp. 382-385.
22. Stefano Jósika, afferma Giorgio Tomasi nella Battorea, fu consegnato ai commissari imperiali e trasferito in catene, “con buona guardia”, nel carcere di Satu Mare. Dal punto di vista giuridico non fu mai dimostrata la colpa del cancelliere, e neanche la Dieta transilvana espresse mai un giudizio definitivo su questo caso. L’ex cancelliere fu decapitato per ordine di Rodolfo II d’Asburgo, infuriato per la notizia della fuga di Sigismondo da Ratibor ad Alba Iulia; qui Sigismondo fu immediatamente rieletto principe dalla Dieta transilvana. Anche se fu trattato da Sigismondo Báthory in modo indegno, Stefano Jósika tenne un atteggiamento molto nobile, sia durante il processo, sia di fronte al boia, non offrendo alcuna soddisfazione ai suoi aguzzini. Lo storico ottocentesco Nicolae Bălcescu può essere sospettato in un certo qual modo di partigianeria, se si tiene presente la sua origine romena e, nel contempo, il fatto che egli partecipò ai moti del 1848. Michele il Bravo rappresentava per lui la personificazione del coraggio, della giustizia e dell’onore. Si può dunque individuare, nell’opera del Bălcescu, una comprensibile avversione nei confronti dell’Austria, detta “la nemica dell’Ungheria” e l’assassina del “romeno Stefano Jósika”. Il primo giudizio dello storico può essere imputato al suo riavvicinamento ai rivoluzionari ungheresi e al loro capo Lajos Kossuth; perciò l’Ungheria diviene il difensore delle libertà nazionali e individuali, mentre l’Austria imperiale rappresenta la tirannia. Lo stile narrativo del Bălcescu, che ricorda quello di Tito Livio (probabilmente una delle letture favorite dello storico romeno), accresce il sospetto che le critiche eccessive rivolte dall’autore a Sigismondo Báthory derivino dalla mancanza di imparzialità, sebbene vada ricordato come, per l’uccisione di Stefano Jósika, il Bălcescu accusasse l’Austria non tenendo di conto che, in questo caso, la colpa andava attribuita soprattutto al principe transilvano. Comunque, al di là dello stile e delle convinzioni politiche del Bălcescu, i fatti analizzati dallo storico romeno, in merito alla personalità e al principato di Sigismondo Báthory, sono confermati anche dalle altre fonti che abbiamo già citato in questo nostro breve lavoro.